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Da Filippo Brunelleschi a Donatello, da Masaccio all’Angelico, da Luca della Robbia a Filippo Lippi, Paolo Uccello, Leon Battista Alberti, Domenico Veneziano: lo straordinario esordio del Rinascimento fiorentino nella prima metà del Quattrocento – a partire dal concorso per la porta bronzea del Battistero nel 1401, che segnò il debutto di Brunelleschi. L’avvenimento più importante nell’ambiente artistico fiorentino è, appena varcata la soglia del nuovo secolo, il concorso del 1401 per una seconda porta bronzea del Battistero. Vi partecipano anche artisti di fuori, come Jacopo della Quercia, ma i protagonisti sono due giovani scultori-orafi fiorentini di grande avvenire: Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, i cui pannelli di prova col Sacrificio d’Isacco si conservano ambedue presso il Museo del Bargello. Nonostante l’impegno quasi sovrumano che vi profuse, il rilievo di Brunelleschi dovette sembrare arcaico rispetto a quello del Ghiberti, più suadente, nelle sue euritmie gotiche, allineato con la corrente del gotico internazionale europeo. Il Ghiberti, inoltre, usa una tecnica di fusione più sofisticata, con le figure che fanno corpo unico col fondo, permettendo un risparmio notevole di metallo. Fu perciò lui a vincere il concorso e ad avere la commissione della seconda porta del Battistero; la vittoria ne fece il primo artista di Firenze, fautore di una squisita concezione artistica che portò il linguaggio gotico alle sue estreme conseguenze. La temperatura gotica dell’ambiente artistico fiorentino crescerà notevolmente fino almeno alla metà del secondo decennio del Quattrocento, favorita anche dal ritorno di Gherardo Starnina dalla Spagna verso il 1403. Questo importante pittore, con cui va identificato il cosiddetto Maestro del Bambino Vispo e che morì nel 1413, provenendo da Valenza, dove si era elaborata una precoce e umoresca variante dei gotico internazionale, caratterizzerà fortemente l’ambiente fiorentino e sarà decisivo anche per Lorenzo Monaco, il pittore più elegante e rappresentativo del gotico estremo a Firenze, attivo fino oltre il 1420 con la sua calligrafica e astratta visione del mondo. Ma nel 1415, quando il Ghiberti ha terminato da poco la sua goticissima statua bronzea di San Giovanni Battista per Orsanmichele e sta ancora lavorando alla seconda porta del Battistero, vengono finite le quattro grandi statue marmoree degli Evangelisti per la facciata del Duomo (oggi nel Museo dell’Opera). A una di esse aveva lavorato Niccolò di Piero Lamberti e rappresenta un punto di arrivo del gotico estremo a Firenze; un’altra è di Bernardo Ciuffagni, un allievo assai pedissequo del Ghiberti. Ma il San Giovanni Evangelista di Donatello e il San Luca di Nanni di Banco esprimono ideali artistici completamente nuovi e una visione dell’uomo appoggiata sul senso profondo della dignità umana che emanava dalla statuaria antica. Queste due sculture segnano un profondo cambiamento dell’arte fiorentina in direzione rinascimentale. Un cambiamento che è in accordo con gli ideali antichizzanti professati dai primi umanisti, come Coluccio Salutati, allievo di Petrarca, o come Leonardo Bruni. Subito dopo, il goticissimo Niccolò Lamberti emigra a Venezia e il Ghiberti nella sua successiva statua per Orsanmichele, il San Matteo (datato 1420), austera e semplificata, si converte, pur con mille riserve mentali, alla nuova tendenza artistica. Come questa corrente fosse cresciuta, in opposizione a quella dominante del gotico estremo, è difficile stabilirlo. Certo, la commissione a Nanni di Banco dei Quattro Santi coronati per il tabernacolo di Orsanmichele dell’Arte dei Maestri di pietra e legname, la corporazione a cui si iscrivevano gli scultori, pone questo straordinario artista, gravemente antichizzante, in una posizione molto autorevole nel contesto della scultura fiorentina di quegli anni. Allo stesso tempo, l’esecuzione da parte di Donatello di una gigantesca statua in terracotta per gli sproni del Duomo, tra il 1410 e il 1412, significa la rinascita di una tecnica scultorea di largo uso presso gli antichi, ma scomparsa nel Medioevo. È probabile che motore di questo cambiamento fosse Brunelleschi. Secondo il suo biografo, Antonio Manetti, dopo la bruciante sconfitta nel concorso del 1401, avrebbe riconosciuto di non essere stato abbastanza bravo da ottenere la commissione e avrebbe detto: “Egli è buono andare veggendo dove le sculture sono buone. E andossene a Roma” a studiare le sculture antiche. Quasi certamente Brunelleschi, che scolpì il mirabile Crocifisso ligneo di Santa Maria Novella, in un primo momento tentò la sua via nella statuaria (il suo interesse verso l’architettura incomincia a essere documentato alla fine del secondo decennio), e si può pensare che il suo esperimento capitale sia stato il San Pietro per Orsanmichele, forse la prima statua antichizzante fiorentina e quindi esempio fondamentale per Donatello e Nanni di Banco, con i quali Brunelleschi fu sicuramente in rapporto, come ci attestano i documenti. La “gravitas” del San Marco di Donatello, il dolce sussiego del San Filippo di Nanni di Banco, ambedue per Orsanmichele, sono altri capitoli del cammino deciso in direzione rinascimentale dell’arte fiorentina. Un altro grande avanzamento è segnato dalla scoperta della prospettiva fatta da Brunelleschi, anche se il primo esperimento arrivato fino a noi è nella base del mirabile San Giorgio di Donatello, anch’esso per Orsanmichele (ma oggi nel Museo del Bargello), eseguito poco dopo il 1416. Invece, la pittura, dominata da Lorenzo Monaco e ancora tutta volta al linguaggio gotico, non era in grado per il momento di accogliere questa rivoluzionaria scoperta, certo destinata piuttosto ai pittori che agli scultori. La tecnica dello “stiacciato” di Donatello è in relazione con la necessità di ridurre un rilievo quanto più possibile simile a una superficie piana, in modo da potervi realizzare composizioni prospettiche. La pittura fiorentina si converte alla nuova concezione rinascimentale soltanto nel terzo decennio del Quattrocento, con il giovanissimo Masaccio, i cui esordi avvengono proprio nel momento in cui si stabilisce a Firenze il più grande rappresentante del gotico internazionale italiano in pittura, Gentile da Fabriano, che nel 1423 porta a compimento un capolavoro stupefacente come l’Adorazione dei Magi oggi agli Uffizi. Masaccio non si fa distrarre da questa autorevolissima presenza e semmai è Gentile ad assorbire qualche barlume delle novità rinascimentali. Anche un altro grande pittore tardogotico cresciuto a Firenze, Masolino da Panicale, dovrà fare i conti con queste novità e si adatterà a dividere con Masaccio commissioni importanti come la Sant’Anna “Metterza” degli Uffizi o la decorazione ad affresco della cappella Brancacci nella chiesa del Carmine. Masolino, più anziano di Masaccio, è chiaramente intimidito dalla forza e dalla potenza innovatrice del suo giovane collega, che lascia negli affreschi con storie di San Pietro del Carmine, rimasti interrotti per un suo viaggio a Roma (dove muore ad appena 26 anni nel 1428), alcune figurazioni che rimarranno esemplari per la pittura a venire. Un’umanità improvvisamente vera, concentrata ed eroica, schiva di ogni ricerca della bellezza o della seduzione gotica, serissima invece e carica della “gravitas” delle statue di Donatello e di Nanni di Banco, anche se non della loro suggestione antichizzante, si muove fieramente in uno spazio regolato dalle certezze prospettiche, in cui il cielo atmosferico si sostituisce ai fondi astratti trecenteschi. E nell’affresco con la Trinità di Santa Maria Novella Masaccio lascia uno dei manifesti della pittura prospettica. I pittori fiorentini non sono ancora pronti per accogliere simili novità. Molti rimangono disorientati, anche a causa dell’autorevole alternativa proposta da Gentile da Fabriano. Ma uno di essi, un giovane domenicano riformato, fra’ Giovanni Angelico, ottiene risultati di altissima qualità, che lo indicano come uno dei futuri protagonisti della pittura fiorentina. Con un’intelligenza e un’apertura mentale insospettabili in un adepto di un ordine religioso così severo, l’Angelico prende presto coscienza delle novità della pittura di Masaccio e le investe della sua convinta religiosità, riuscendo a una figurazione devota e puristica, ma decisamente immessa in uno spazio prospettico illuminato da cieli primaverili. Nascono così capolavori come la tavoletta con l’Imposizione del nome al Battista nel Museo di San Marco, o la prospettica Incoronazione della Vergine, oggi al Louvre, probabilmente più antichi del celebre tabernacolo dei Linaiuoli del 1433, ora nel Museo di San Marco, o della grande Deposizione per Santa Trìnita, nello stesso Museo. Donatello si è messo, intanto, in compagnia con Michelozzo Di Bartolomeo e la loro bottega è carica di impegni. Dopo il tabernacolo di Orsanmichele per la Parte Guelfa e la relativa statua di San Ludovico di Tolosa (oggi nel Museo di Santa Croce), vengono i lavori per la tomba di Baldassarre Cossa nel Battistero, le commissioni della cantoria del Duomo di Firenze e le varie statue per il Campanile di Giotto, tra cui l’indimenticabile “Zuccone”, l’Annunciazione in Santa Croce, la decorazione della sagrestia Vecchia di San Lorenzo (per ricordare solo le opere fiorentine più importanti). Nonostante un’attività così frenetica, le sculture di Donatello sono sempre di una qualità altissima, di una bellezza anticlassica che rasenta l’espressionismo, di una ricchezza di idee torrenziale; suo è il primo sottinsù della storia dell’arte italiana, nel tondo con l’Assunzione di San Giovanni per la sagrestia Vecchia. Agli inizi degli anni trenta, un altro grande scultore, Luca della Robbia, incomincia la sua attività documentata con la cantoria in marmo per il Duomo, da collocare a riscontro di quella di Donatello. È lo scultore più classico del Quattrocento a Firenze. Le sue forme dalle modulazioni lente e piene si pongono in alternativa a Donatello e lo avvicinano a Nanni di Banco, di cui probabilmente è stato allievo. Oltre a lavorare nel marmo e nel bronzo, Luca usa in modo sistematico la terracotta invetriata (prevalentemente bianca) nella quale crea molti dei suoi capolavori, come la Risurrezione sopra la porta della sagrestia delle Messe in Duomo, del 1442-45. Né egli è ripetitivo, come a qualcuno può sembrare: in coincidenza con il soggiorno a Padova di Donatello (circa 1443-53), ricorre a un linearismo più elegante, in un evidente accostamento al Ghiberti. Il quale sta lavorando con grande successo alla porta del Paradiso per il Battistero (1425-52), dove rappresenta in dieci riquadri le storie del Vecchio Testamento con un’incredibile capacità di adattamento al clima umanistico della Firenze di allora, nella quale soggiorna per quasi un decennio (1434-43) la corte papale di Eugenio IV, portandosi dietro alcuni rappresentanti di primo piano della diplomazia e della cultura italiana, tra i quali Leon Battista Alberti. In prossimità di Masaccio si era formato un altro frate pittore, Filippo Lippi, molto diverso come temperamento dall’Angelico. Dopo le prove giovanili, più masaccesche, in opere quali l’Incoronazione della Vergine degli Uffizi, del 1441-47, si mostra assai poco interessato ai problemi prospettici e incline, invece, a un pittoricismo raffinato, mobile e vibrante, certamente in rapporto con gli effetti più pittorici dello stiacciato donatelliano e allo stesso tempo foriero di sviluppi futuri. Patito della prospettiva sarà invece Paolo Uccello, che da giovane era stato aiuto del Ghiberti e che un soggiorno a Venezia tiene lontano dalle più rivoluzionarie innovazioni di Masaccio. Ritornato a Firenze nel 1430, partecipa della nuova situazione con un estro pungente e bizzarro (decorazione ad affresco della cappella dell’Assunta nel Duomo di Prato), che non lo abbandona nemmeno nei suoi contributi più alti alla storia della pittura prospettica (monumento all’Acuto nel Duomo di Firenze, del 1436; Battaglia di San Romano, divisa tra gli Uffizi, il Louvre e la National Gallery di Londra; storie di Noè nel chiostro Verde di Santa Maria Novella). Vivo ancora il Brunelleschi e presente a Firenze Leon Battista Alberti (che nel 1435-36 scrive un trattato sulla pittura in cui esalta gli artisti ‘moderni’ di Firenze, parla della prospettiva e propugna una pittura in chiaro e l’“amistà dei colori”), elaborata a partire dal 1436 la parte più antica della pannellatura lignea della sagrestia delle Messe in Duomo, che contiene le prime tarsie prospettiche del Quattrocento, sono maturi i tempi per quella corrente artistica fiorentina che si può chiamare “pittura di luce”. Ne è leader Domenico Veneziano, che arriva a Firenze nel 1439 (ma di certo vi era già stato precedentemente) a eseguire la decorazione ad affresco del coro di Sant’Egidio. Il capolavoro di questa corrente è la sua pala di Santa Lucia dei Magnoli, oggi agli Uffizi. Il colore limpidissimo, unificato da una luminosità straordinaria, il rigoroso impianto prospettico, la precisione con cui le cose sono collocate nello spazio, ne fanno un capolavoro della pittura italiana del Quattrocento. Si capisce bene come Piero della Francesca, che è documentato presso Domenico Veneziano a Firenze nel 1439, ne sia stato allievo. Di questa corrente partecipano anche Paolo Uccello, l’Angelico nella sua fase tarda (pala per l’altare maggiore di San Marco, pannelli dell’armadio degli Argenti; tutti al Museo di San Marco), l’energico e monumentale Andrea del Castagno, Alessio Baldovinetti e Giovanni di Francesco.
Guida d’Italia. Firenze e provincia, Touring Club Italiano, Milano 1993. |