La
prima metà del Cinquecento è segnata dallo scontro tra le grandi potenze
europee per la conquista della supremazia. Con l'acquisizione dei domini
spagnoli, l'immenso impero di Carlo V è diventato un pericolo per la
Francia, che ne è accerchiata. Per proseguire la lotta, dopo la sconfitta
di Pavia, Francesco I forma un'alleanza con una serie di stati minori,
come Venezia, Firenze e lo Stato della Chiesa. Quest'ultimo subisce le
conseguenze più gravi: le truppe mercenarie imperiali dei
lanzichenecchi puntano su Roma, con la prospettiva di un bottino
favoloso, devastando tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Il
saccheggio della città e l'assedio al pontefice (Clemente VII, cioè Giulio
de' Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico) asserragliato in Castel Sant'Angelo,
si concluderanno solo otto mesi dopo, quando lo scatenarsi di un'epidemia
di peste costringerà le truppe imperiali ad abbandonare la città.
Benché
annunciata per tempo da molti segnali, la sciagura colse Roma impreparata,
nondimeno bisogna pur dire che nessuno poteva immaginarla così terribile.
Quando i
lanzichenecchi arrivarono sulla sommità di Monte Mario,
il conestabile di Borbone li arringò: "Se mai vi è capitato di pensare al
saccheggio di una città per guadagnare ricchezze e tesori, eccovela! È la
più ricca: la signora del mondo". Quei 30.000 uomini stanchi, laceri,
affamati e pieni di livore guardarono Roma ai loro piedi immersa nel
pulviscolo d'oro del tramonto. E continuarono a guardarla mentre
improvvisavano un accampamento sulle colline tra Monte Mario e il
Gianicolo.
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