Chiesa cattedrale di Milano, dedicata a Maria Nascente, capolavoro
del gotico italiano.
L’edificio, grandioso nelle dimensioni (con i suoi 157 metri di
lunghezza e i 108 metri della guglia più alta, detta della Madonnina) ed
esuberante nella decorazione plastica interna ed esterna (costituita da
circa 3400 statue e 96 doccioni), fu costruito a partire dal 1386 per
sostituire la precedente chiesa di Santa Maria Maggiore: l’imponenza del
cantiere rese necessario il sacrificio del fitto e complesso tessuto
urbanistico medievale circostante.
Determinante per il progetto fu la volontà del duca Gian Galeazzo
Visconti, che intendeva rappresentare, attraverso la magnificenza della
chiesa, aggiornata stilisticamente con espliciti richiami al gotico
internazionale, il crescente peso politico del ducato milanese nello
scacchiere europeo e i legami intrattenuti con le maggiori corti di
Francia e dell’Europa settentrionale. Da ciò derivò l’adozione come
materiale da costruzione del marmo di Candoglia, estraneo alla tradizione
edilizia milanese, e la chiamata di folte maestranze straniere sia tra gli
architetti (Jean Mignot, Enrico di Gmünd, Nicola de Bonaventure), sia tra
gli scultori e i vetrai.
Lo scontro tra le diverse posizioni teoriche degli artisti locali e dei
maestri stranieri rallentò molto, specie agli inizi, il procedere dei
lavori e condusse a un’interpretazione temperata e originale del gotico
maturo: il duomo di Milano manifesta infatti nell’impianto a navate
digradanti, nel misurato slancio delle volte, nell’espansione in larghezza
della pianta a cinque navate, il connubio tra lo stile nordico,
caratterizzato da uno spinto verticalismo, e i canoni architettonici
tradizionali italiani, improntati a un equilibrio e a un’armonia di
proporzioni di derivazione classica. La presenza di tante personalità
d’oltralpe contribuì comunque a rinnovare il panorama artistico lombardo
tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento.
Presso
la fabbrica del Duomo lavorarono alcune tra le personalità artistiche più
insigni del periodo, tra cui
Giovannino De'Grassi, Giacomo da Campione, Jacopino da Tradate e
Michelino da Besozzo. Grande fu il fermento anche in
epoca sforzesca (1450-1535) quando, dopo un acceso dibattito sul tiburio
che vide anche l’intervento di
Bramante,
Leonardo e
Francesco di Giorgio
Martini, si impose il progetto dell’Amadeo e del Dolcebuono.
Dopo un periodo di stasi, rinnovato fervore nel cantiere si ebbe sotto
Carlo Borromeo (vescovo di Milano dal 1560 al 1584), che impose di
adattare l’interno dell’edificio sacro ai dettami della chiesa
controriformata: il prelato affidò a
Pellegrino Tibaldi, suo architetto
prediletto, il rifacimento del progetto del presbiterio, del coro e dei
pulpiti. Si aprì in quel tempo inoltre l’annosa questione della facciata,
affrontata da tutti gli architetti che tra Sei e Settecento si alternarono
alla guida del cantiere (il Richino, Carlo Buzio, i Quadrio, Francesco
Castelli) e risolto solo sotto Napoleone.
Tra le parti più significative dell’edificio, contemplato dall’esterno,
sono l’abside, con le splendide vetrate a traforo, e i fianchi, arricchiti
di sculture e motivi a rilievo. L’interno conserva alcuni dei capolavori
dell’arte lombarda, tra cui i famosi teleri della Vita di
San Carlo
dipinti dal
Cerano nel 1602.
"Duomo di Milano"Microsoft®
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